mercoledì 11 maggio 2011

Magazzino di porte. Viaggio a puntate nella storia dei serramenti

(Ultima puntata!)

L'Art Déco


Il gusto che con la formula “Arts déco”, si diffuse dall’Europa all’America, può essere rintracciato, come è noto, in fenomeni che si situano in dissolvenza rispetto all’Art nouveau francese e tedesca. E’ noto che gli Arts déco nel loro evolversi incamerarono soluzioni formali tratte dalle avanguardie: i colori squillanti dei fauves, i nuovi classicismi di Behrens, i futurismi italiani o sovietici, le prime soluzioni razionaliste. Contemporaneamente ci fu disponibilità a ripensare i luoghi, con varie soluzioni ‘etniche’ sia europee che esotiche e coloniali, disponibilità a riprendere certi periodi della storia degli stili ora in chiave pompeiana.


Da Parigi e dal Rulhmann in particolare emergono spunti di grande interesse: in termini di materiali, con legni d’ebano o di palissandro o con radiche preziose, ulteriormente impreziosite da fili d’avorio o d’avoriolina che sono una delle caratteristiche ricorrenti del déco; con soluzioni originali come ad esempio l’enfasi data alle maniglie o alle serrature che nelle porte come nei mobili si in vere e proprie sculture; ricorre quel motivo neoclassico, “impero” od anche Biedermaier, di griglie a rombi che campiscono la superficie liscia delle porte; o come quei tessuti floreali di provenienza libertyaria ma riordinati con una nuova simmetria.


Anche il déco italiano si annuncia fertile, seppure complicato ancora d’eclettismo, pervicace in tutta l’ebanisteria del Bel Paese. Vi si ritrovano spunti formali transalpini e materiali d’Oltremare anche se l’avventura coloniale italiana non poté certo competere in fatto di varietà e approvvigionamenti lignei, con la Francia o con l’Inghilterra. Ci sono casi, anche qui, segnalabili per riproposte: La Casa Madre del Mutilato, progettata da Marcello Piacentini nel 1925-29, offre porte Novecento e déco di un certo interesse, ivi compresa anche una versione di quell’intarsio prospettico che già c’era parso fertilissimo negli esempi del tardo Quattrocento, e che ora ritorna qui semplificato e modernizzato in un pannello del pittore Eduardo del Neri o, in tutt’altro contesto, con una divertentissima ribaltina “architettonica” di Ponti. Risultano interessanti certi interni classicheggianti milanesi pubblicati da “Domus” nel 1928.


Su tutt’altro registro si pone il Palazzo dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni a Roma, realizzato dall’ingegnere Ugo Giovannozzi. Una vena déco che tuttavia s’adatta bene al substrato classico della cultura figurativa italiana e che può essere come tale riscontrato nei lavori di Ponti, di Portaluppi, di Piacentini, di Fichera, di Tufaroli o come Mario Moschi forse con Fagnoni, autore della maniglia della bella porta del ristorante nella Scuola di Guerra Aerea ancora a Firenze.


Quasi a pendant del qualitativo lavoro di maestri francesi come Rulhmann, Lalou, Sue e Mare, l’ambiente americano fornisce indubbiamente porte clamorosamente déco ma eterogenee per qualità, occasioni e materiali. Pochi degli esempi inseriti in questo repertorio hanno paternità di spicco, molti invece provengono da un’offerta antiquaria abbondantissima: protratta nel tempo dagli anni “ruggenti”, fino al cosiddetto Tropical déco degli anni quaranta e cinquanta.



Mauro Cozzi

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